Anche se ci sono stata ormai l’anno scorso voglio scrivere del mio viaggio a Bali. Tornando a Roma dalla Cina sono arrivata qui carica di valigie e con una lista molto lunga di cose da vedere. Bali era banalmente tra i miei posti dei desideri da quando ho letto Mangia, prega, ama, anche se all’epoca non ero interessata tanto all’Indonesia quanto all’India. Dopo essermi innamorata del verde tropicale della Malesia mi è rimasta in testa l’idea di scendere più a sud. Ammetto che prima di partire l’emozione si era un po’ smorzata perché ero stata avvertita che è una destinazione molto commerciale.
Sono sicura che molti sarebbero pronti a dissentire, perché a seconda di dove si soggiorna a Bali si può fare un tipo di vacanza completamente diverso. Io personalmente penso che Bali mantenga la sua autenticità con i suoi templi di pietra, i riti religiosi nelle strade, la natura lussureggiante e le case balinesi aperte ai turisti, nonostante l’orrendo lungomare di Kuta e i resort di lusso.
Ho deciso di dividere la vacanza in due: ho trascorso i primi giorni a Ubud per visitare i templi e la seconda metà a Sanur, di fronte all’oceano. Se Ubud è la parte hippie, quella dove è stato girato Mangia, Prega, Ama, Sanur è quella dove la gente viene a rilassarsi. Ubud è famosa per il tempio delle scimmie, il mercato artigianale, le risaie e l’altalena a strapiombo nella giungla.
Non ho girato tanto per le varie spiagge perché a Sanur l’oceano è clemente e le acque sono più calme che altrove. Sanur è il lungomare più tranquillo di Bali, e anche il mio preferito perché completamente diverso dalla pazza folla di turisti che si accalca a Kuta e in altre parti dell’isola.
Nonostante il mare a due passi, ho cercato di visitare più templi possibili anche mentre ero a Sanur: un’impresa estenuante per le strade strette e dissestate. A differenza del resto dell’Indonesia, che è musulmana, a Bali la popolazione è induista. Il culto induista a Bali ha assimilato molte influenze di tipo buddista e animista. In giro per l’isola è possibile imbattersi nelle cerimonie religiose e nelle donne vestite col tradizionale sarong che trasportano ceste con le offerte sulla testa.
Appena fuori dalle città ci si imbatte nella natura, nelle risaie e nella tranquillità delle stradine di campagna. Per me Bali non è stata la destinazione affollata e commerciale che mi era stata descritta, basta girare un po’ per trovare il suo lato selvaggio e autentico.
Di questo viaggio ricorderò il primo bagno nell’oceano, la bellezza dei templi, le colazioni sulla terrazza del mio hotel, il caffè balinese, i gechi enormi che ti si infilano in camera, il cibo squisito e i tramonti sul mare di Sanur, che si dice siano i più belli di tutta l’isola.
Ho visitato il tempio di Tirta Empul, famoso per le piscine di purificazione in cui vengono a immergersi i fedeli. Le vasche sono piene di balinesi indù (e di qualche turista) che pregano, bruciano incenso e portano le offerte in piccoli cestini pieni di fiori e frutta, gli stessi che bisogna far attenzione a non calpestare quando si cammina per strada, perché sono letteralmente ovunque.
A Bali tutti i giorni, in una routine placida e costante, si depongono le offerte agli spiriti fuori dalla porta della propria casa, del proprio negozio, o davanti gli altari di cui l’isola è piena. Per me, la meraviglia che aleggia su Bali è proprio nella riverenza e nell’atteggiamento rivolto agli spiriti. Le sembianze dell’isola saranno certamente state cambiate dal turismo, ma quest’aspetto religioso e mistico è rimasto inalterato.
Un altro tempio molto affascinante, per la sua posizione con lo sfondo del monte Agung è Pura Besakih. È un luogo davvero incantevole – forse il tempio più bello di Bali – ma sinceramente funestato dalla continua richiesta di offerte da parte di venditori all’ingresso (che vi diranno che è obbligatorio acquistare il cestino delle offerte per entrare) e da parte della “guida” che vi accompagnerà all’interno. Una situazione che ho trovato solo qui e che non si è mai ripetuta negli altri tempi e luoghi che ho visitato.
Sono anche stata a Lempuyang, il tempio famoso di Instagram. Non ci sarei voluta andare perché aspettare due ore per farsi fare una foto non mi sembra il massimo. C’è talmente tanta gente che brama il famoso scatto nella “porta del paradiso” che mi passava la voglia solo a pensare di farmi il viaggio. In realtà è uno dei templi più suggestivi di Bali, costruito su un fianco della montagna, in mezzo alla natura.
Sono stata poi a Nusa Penida, che si affaccia a sud-est di Bali ed è un’isola molto più selvaggia, con pochissimi hotel dove soggiornare per la notte. Di conseguenza è una meta mordi e fuggi per gruppi di turisti in vacanza che arrivano la mattina e ripartono il pomeriggio. La bellezza di Nusa Penida è nei paesaggi. Si dice che dia un’idea di come fosse Bali prima del turismo di massa.
Bali è davvero uno dei pochi luoghi (insieme a Malesia e la Cina) che mi sono rimasti nel cuore e di cui conservo i ricordi migliori. Scrivendone non mi sembra di renderle giustizia. Dieci giorni a Bali non mi hanno comunque permesso di vedere tutto quello che volevo, tipo il villaggio di Trunyan e i draghi di Komodo (va bè, per quelli diciamo che nemmeno i prezzi folli dei tour operator me lo hanno permesso).
Si è capito che ho ancora voglia di mangiarmi un Nasi Campur in un chiosco sulla spiaggia? Chissà che prima o poi non succeda.
Bellissimo viaggio e bellissime foto!
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